Intervista al Dottor Augusto Pagani

Il dottor Pagani Augusto, Presidente dell'Ordine dei Medici di Piacenza.

Pagani (Ordine dei medici): a Piacenza più test e tamponi per ripartire

Coronavirus: due settimane fa Augusto Pagani aveva lanciato un allarme forte e chiaro. Il presidente dell’Ordine dei medici di Piacenza aveva parlato di una situazione gravissima, con molti contagi in più di quelli ufficiali e aveva chiesto misure più restrittive, colpendo nel segno.

Oggi il dottor Pagani non abbassa la guardia, è più ottimista, ma come vedremo non manca comunque di segnalare altre importanti criticità.
“La situazione è cambiata. Il numero di nuovi casi è drasticamente calato per l’effetto delle misure di contenimento, con l’imposizione della quarantena. Questo ha portato a un decogestionamento del pronto soccorso, dei reparti di sub-terapia intensiva e di terapia intensiva. Certo, in ospedale sono ancora sotto stress: il personale è sottoposto a ritmi di lavoro molto pesanti per il numero ancora scarso di operatori e un numero di pazienti ricoverati ancora importante, anche se meno grave di quello di due settimane fa”.

I decessi quotidiani però sono sempre tanti, anche se in calo, visto che i morti sono scesi sotto i 20 da un paio di giorni. Come si spiega questo andamento ancora così sostenuto?

“So che è doloroso e difficile da accettare. Ma un numero di morti ancora così considerevole è l’effetto dell’alto numero di malati e di ricoverati anche in gravi condizioni che si è verificato nelle settimane scorse; e questo al di là dei casi positivi certificati. I malati, l’abbiamo detto, erano molti di più, come sta emergendo anche dal numero di decessi non certificati come Covid-19. E le persone che muoiono oggi sono quelle che si sono ammalate 15-20 giorni fa o anche prima. Il Coronavirus è una malattia lunga”.

I numeri di Piacenza segnalano che a marzo ci sono stati mille morti in più rispetto allo stesso mese dei due anni precedenti: come valuta questi dati?

“Penso che i mille morti debbano essere comunque correlati alla infezione da Coronavirus; e anche i 500 morti non certificati Covid-19 debbano in realtà essere attribuiti a questa malattia, con quello che ne consegue”.

Che cosa intende dire?

“Intendo dire che c’è una sottostima in tutti i dati riferiti al numero dei contagi e al numero dei decessi. E quindi c’è la necessità di mettere in atto delle strategie di individuazione dei contatti stretti dei pazienti deceduti ma non certificati come Covid-19″.

Via via le cose dovrebbero migliorare?  

“Sì, anche grazie all’interazione sempre più forte tra i medici di famiglia, i medici di continuità assistenziale (quelli che fanno assistenza domiciliare adeguatamente protetti e verificano le condizioni dei pazienti che rischiano di diventare critici cercando di evitarne il ricovero) e i medici ospedalieri. E poi c’è un’altra novità importante…”.

Di che cosa si tratta?

“Dalla prossima settimana i medici di medicina generale potranno prescrivere precocemente ai malati di Covid-19 dei farmaci che si sono rivelati efficaci in questa patologia. E quindi potranno trattarli più efficacemente fin dalle prime fasi della malattia, cosa che prima non era possibile. Un altro passo importante, unito al fatto che abbiamo imparato a conoscere sempre meglio le caratteristiche del Covid-19 e i problemi che crea ai nostri pazienti”.

Di che farmaci sta parlando? 

“Si tratta di antivirali, antinfiammatori, cortisone ed eparina a basso peso molecolare. Farmaci che vanno dati in determinati casi e in certi pazienti; quindi non a tutti e in diversi momenti della malattia. I medici di famiglia avranno naturalmente tutte le informazioni e le possibilità di sapere quando utilizzarli e con quali pazienti”.

La disponibilità di queste nuove terapie non consente comunque un allentamento della quarantena, giusto?

“Assolutamente no, perché è soprattutto grazie a queste restrizioni che abbiamo avuto i miglioramenti di cui abbiamo parlato. Il distanziamento sociale ha ridotto i contatti e ha impedito al virus di essere trasmesso da una persona all’altra. Ma forse è arrivato anche il momento di sfruttare l’effetto positivo di queste misure di contenimento che comunque, sia chiaro e voglio ribadirlo, non vanno ancora abbandonate”.

In che modo va sfruttato questo effetto positivo?

“Dobbiamo utilizzare il periodo che ancora manca alla ripresa delle attività produttive per ridurre i rischi correlati all’arrivo di quel momento. Credo che si debbano seguire i suggerimenti che 290 ricercatori, medici e scienziati hanno indirizzato al presidente Conte la scorsa settimana. E cioè mettere in pista da subito un maggior numero di tamponi e accertamenti sierologici per verificare l’avvenuta guarigione e/o immunizzazione dei pazienti”.

Ma come si può fare se, restando a Piacenza, il direttore della sanità pubblica, il dottor Marco Delledonne, sostiene che i laboratori non possono analizzare più tamponi di così? 

“Guardi, sono del parere che come indicato dai 290 esperti la via sia quella di coinvolgere i laboratori privati per tamponi e test sierologici. Già con questi numeri i tempi di attesa per eseguire questi esami e avere i risultati sono troppo lunghi. Quindi è indispensabile utilizzare anche i laboratori privati per abbreviarli già oggi. Se poi si volesse allargare il numero dei soggetti da esaminare, questa è l’unica strada: si deve puntare anche sui laboratori privati”.

Perché parla di tempi troppo lunghi?

“Le faccio un esempio: un paziente che ha avuto assistenza al domicilio per una patologia correlabile al Covid-19, dopo 14 giorni e se è asintomatico da almeno altri 4, deve prenotare con il certificato di guarigione clinica del suo medico di fiducia il tampone all’ufficio di igiene. Oggi i tempi di attesa sono di circa 2 settimane. Poi, dal momento dell’effettuazione del tampone a quello della consegna del risultato, e cioè della certezza della guarigione biologica, i pazienti mi riferiscono che passano dagli 8 ai 15 giorni. È un periodo di attesa troppo lungo che va drasticamente ridotto”.

Effettivamente se tra l’attesa di fare il tampone e quella del risultato nella migliore delle ipotesi passano 3 settimane tutto diventa molto difficile anche nell’ottica di una ripresa seppur graduale delle attività… 

“È così; per non bloccare questa ripresa delle attività produttive bisogna dare risultati più velocemente; ma attenzione non sto criticando la gestione dei laboratori pubblici da parte del nostro ufficio di igiene, che stanno lavorando a mille. Però, se c’è un imbuto come ha detto il dottor Delledonne per il numero limitato di tamponi che si riescono a processare, ripeto, bisogna affidare ai laboratori privati una parte dei tamponi da processare”.

A Piacenza quanti sono quelli che potrebbero essere coinvolti?  

“Almeno 4 o 5 laboratori privati sul nostro territorio sarebbero in grado di collaborare con l’igiene pubblica, ampliando non di poco la risposta”.

Questo anche nell’ottica di fare il test sierologico a una fetta molto più ampia della popolazione… Che differenza c’è tra questo accertamento e quello effettuato con il tampone?

“Il tampone serve per accertare la non contagiosità del paziente che ha avuto o si sospetta abbia avuto il Covid-19; il test sierologico serve per sapere se il paziente ha avuto o no la malattia e nel caso se ne è completamente uscito o se ce l’ha ancora in fase di convalescenza”.

Quindi il test sierologico consentirebbe di fare una selezione per stabilire chi potrebbe tornare al lavoro con le dovute cautele, ma senza problemi.

“Certo, perché si stabilisce se un paziente non ha mai avuto la malattia o se l’ha già passata. E quindi in questo caso è immune e può riprendere le attività”.

In sintesi, da quello che dice, si deve giocare su due piani: priorità alla cura di chi è ancora colpito dal Covid-19 e al contrasto dei contagi; ma in parallelo si deve preparare il terreno per far ripartire gradualmente il Paese… 

“Penso di sì: si deve continuare a fare tutto quello che serve per combattere l’epidemia, ma dobbiamo anche pensare che l’Italia, l’Europa e il mondo, vanno avanti solo se si può riprendere a lavorare. E mi permetto di dire che si deve puntare molto di più su una riduzione della burocrazia che sta rallentando il nostro Paese. Invece dovremmo sfruttare questa occasione anche per sviluppare dei meccanismi di semplificazione e flessibilità di carattere nazionale che domani potrebbero essere utili in tutti i campi”.

Che cosa non ha funzionato?

“Credo che in questa occasione in Italia sia mancato il coordinamento tra il centro e la periferia; nel senso che non c’è stata una condivisione delle strategie e delle decisioni tra regioni diverse. Servivano scelte uguali per tutti, limitando i localismi, e tempi molto più veloci. Sono errori che non possiamo più permetterci guardando alla ripresa del Paese”.

Cosa intende dire?

“Che per esempio, se siamo tutti d’accordo con i 290 scienziati che hanno suggerito massicci test sierologici alla popolazione, e intendo medici, imprenditori, sindacati e governo, bisogna far sì che vengano espletati nel più breve tempo possibile”.

Come si può fare dottor Pagani?

“Consentendo in tutte le regioni e in tutte le provincie di raggiungere questo obiettivo senza troppi vincoli e ritardi burocratici nella massima collaborazione possibile. Solo così riusciremo ad abbreviare i tempi. Non ci possiamo più permettere di perdere altre settimane, di aspettare 20-30 giorni per avere la certificazione di una guarigione. Se no l’Italia non riparte davvero più”.